domenica 21 agosto 2011

Le recenti Sezioni Unite della Cassazione (Cass. Sez. Un., 21 aprile 2011, n. 9130) in tema di Translatio Iudicii fra giurisdizioni: dubbi e perplessita'. Modalita' prosecuzione del giudizio - divergenze di petitum - pendenza del processo in seguito alla declinatoria della giurisdizione.


Procedimento civile - Riassunzione, in genere - "Translatio iudicii" - Regime anteriore a quello di cui all'art. 59 della legge n. 69 del 2009 - Atto di prosecuzione del giudizio - Contenuto - Giudizio di tipo impugnatorio e di tipo cognitivo - Riproposizione della domanda e atto di riassunzione - Diversità - Fondamento - Fattispecie.

Anche nel regime della "translatio iudicii" antecedente l'entrata in vigore dell'art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l'atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. Pertanto, ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l'atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del "petitum"; qualora, invece, il giudizio prosegua verso un giudizio con le medesime caratteristiche, l'atto di prosecuzione assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall'art. 125-bis disp. att. del codice di procedura civile. (Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche che - adito come giudice di legittimità, in riassunzione, dopo una pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del TAR - aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso per nullità dell'atto di riassunzione conseguente ad insufficiente descrizione del fatto). (massima ufficiale)



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONI UNITE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo - Primo Presidente f.f. -
Dott. DE LUCA Michele - Presidente sezione -
Dott. FIORETTI Francesco Maria - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - Consigliere -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. MACIOCE Luigi - rel. Consigliere -
Dott. BUCCIANTE Ettore - Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TESSI EMANUELE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. GRAMSCI 28, presso lo studio dell'avvocato FRANCHI MANILIO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FERI UGO, per delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente della Giunta regionale pro- tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO D'ITALIA 102, presso lo studio dell'avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE, rappresentata e difesa dall'avvocato VINCELLI GIUSEPPE, per delega in calce al controricorso; CONSORZIO DI BONIFICA OMBRONE P.SE-BISENZIO, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 15, presso lo studio dell'avvocato VERINO MARIO ETTORE, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CAMPAGNI FRANCO BRUNO, per delega in calce al controricorso; COMUNE DI PISTOIA, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI 37, presso lo studio dell'avvocato CIOCIOLA ROBERTO, che lo rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;
- controricorrenti -
e contro
PUBLIACQUA INGEGNERIA S.R.L., MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, COMITATO ISTITUZIONALE DELL'AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME ARNO, PROVINCIA DI PISTOIA, AUTORITÀ DI BACINO DEL FIUME ARNO, PROVINCIA DI PRATO, PUBLIACQUA S.P.A.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 71/2010 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 06/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI MACIOCE;
uditi gli avvocati Roberto CIOCIOLA, Mario Ettore VERINO, Giovanni Pasquale MOSCA per delega dell'avvocato Giuseppe Vincelli;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Tessi Emanuele - proprietario di terreni agricoli in Comune di Pistoia, in prossimità degli invasi detti "Laghi Primavera", in relazione ai quali Comune e Provincia di Pistoia e Consorzio di Bonifica Ombrane Pistoiese - Bisenzio avevano assunto delibere autorizzazione di accessi forzosi per indagine geognostiche strumentali alla realizzazione di opere idrauliche (una cassa di espansione del torrente Ombrone), dichiarate di pubblica utilità e previa espropriazione di parte dei terreni del Tessi - ebbe a proporre innanzi al TAR della Toscana tre distinte impugnazioni di atti. Vennero infatti censurati: gli atti del Comune e del Consorzio di autorizzazione all'accesso sui fondi del Tessi per condurre saggi, indagini e sondaggi strumentali alla realizzazione della cassa; l'Accordo di programma tra Enti locali, Regione, Autorità di bacino, Consorzio e Ministero, l'approvazione della predetta opera pubblica, la convenzione tra Enti e Consorzio per la relativa esecuzione; le delibere autorizzatorie all'accesso sui fondi e di delega al Consorzio delle operazioni espropriative. Il TAR adito, riuniti i tre procedimenti, con sentenza 6.8.2007 declinò la propria giurisdizione indicando il giudice specializzato competente nel TSAP, in unico grado.
Il Tessi propose atto di riassunzione richiamando gli atti censurati e le ragioni di diritto prospettate con riguardo ai tre ricorsi innanzi al TAR Toscana (nn. R.G. 197, 634 e 961 del 2006) e notificò la riassunzione al Ministero dell'Ambiente, all'Autorità di Bacino del fiume Arno, a Comune e Provincia di Pistoia, alla Regione Toscana, al Consorzio di Bonifica Ombrone Pistoiese- Bisenzio, a spa Publiacqua ed alla Provincia di Prato (dei quali si costituirono l'Amministrazione dello Stato, il Comune, la Regione ed il Consorzio).
Il Tribunale Superiore delle Acque, con sentenza de 6.5.2010 dichiarò l'inammissibilità del ricorso per nullità ex art. 163 c.p.c., n. 4 e art. 164 c.p.c., dell'atto di riassunzione: ad avviso del TSAP nel mentre l'atto indicava i provvedimenti impugnati e le ragioni di diritto dedotte a loro censura, il "fatto" della vicenda non sarebbe stato descritto adeguatamente ma soltanto richiamato attraverso il rinvio alla sua ricostruzione contenuta nella sentenza del TAR, a sua volta richiamante gli atti impugnati e le ragioni di censura nei loro confronti, sì che, essendo svariati i motivi di censura non si riusciva agevolmente a collegare gli atti contestati ed i vizi prospettati.
Per la cassazione di tale sentenza, il cui estratto è stato notificato il 13.5.2010, il Tessi ha proposto ricorso notificato il 23.6.2010 al quale si sono opposti, con distinti controricorsi, il Comune di Pistoia, il Consorzio di Bonifica Ombrane Pistoiese Bisenzio, la Regione Toscana Nel ricorso il Tessi lamenta l'errore commesso e la contraddizione viziante la pronunzia del TSAP, posto che, se nel ricorso in riassunzione erano stati puntualmente esposti tutti gli atti oggetto di censura innanzi al TAR e tutte le ragioni appuntate su di esse (e distinti per ciascuno dei tre ricorsi), il "fatto" non era altro che la questione della proprietà diretto coltivatrice da parte del Tessi di fondi sui quali le
Amministrazioni avrebbero inteso effettuare interventi ablativi per la costruzione di una opera pubblica idraulica, fatto come tale riportato alla pag. 7 del ricorso e quindi oggetto di richiamo per la sua descrizione nei ricorsi al TAR. Riporta quindi il ricorso, ed analiticamente, le censure articolate nei tre ricorsi innanzi al TAR;
lamenta ancora la avvenuta sanatoria del preteso vizio e quindi sintetizza in quesiti le proprie doglianze. Segue da pag. 16 a pag. 54 del ricorso la analitica descrizione di tutte le censure mosse agli atti impugnati, articolate innanzi al TAR e poi al TSAP. Tessi e Consorzio hanno depositato memorie finali ed i difensori dei controricorrenti sono comparsi alla pubblica udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE
Esaminando, preliminarmente, la questione di tardività del ricorso eccepita dal Comune sul rilievo per il quale il termine breve di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 202, dimidiante il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, dovrebbe interpretarsi come riferito non già al termine vigente all'atto del rinvio (90 giorni ex art. 518 c.p.c. abrogato) bensì a quello vigente al momento della proposizione (60 giorni ex art. 325 c.p.c. vigente), ritiene il Collegio di dover considerare detta eccezione affatto priva di fondamento, sol che si ricordi quanto statuito da queste Sezioni Unite con le decisioni n. 7607 del 2010 e n. 12084 del 2006, alle quali devesi dare pienamente seguito.
Venendo, quindi alle censure esposte in ricorso esse pongono severe critiche alla decisione del TSAP di ritenere nullo l'atto di riassunzione dopo la declinatoria del TAR nei tre giudizi riuniti e di ravvisare detta nullità - una volta acclarato che i provvedimenti censurati erano specificamente indicati e che le ragioni ed i motivi erano adeguatamente descritti - nella insufficiente descrizione del fatto, inteso come sintesi della vicenda pre - processuale e ritenendo la sua necessaria evidenza come "cornice" per la comprensione del thema decidendi. Dette censure appaiono condivisibili.
Ad avviso del Collegio la posizione del requisito della analitica descrizione del fatto posta dal TSAP a condizione di ammissibilità dell'atto di riassunzione dopo la declinatoria del TAR ignora del tutto che detta riassunzione, allo stato attuale di compiuta evoluzione della giurisprudenza sulla "trasmigrazione" del rapporto processuale da una ad altra giurisdizione, deve trovare, nel caso che occupa, regola nell'art. 125 disp. att. cod. proc. civ., n. 3, per le ragioni e con le precisazioni che appresso si espongono sinteticamente.
Occorre invero rammentare la certezza della regola di perpetuazione anche nella ipotesi di una traslatio effettuata prima dell'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 2. Si richiama al proposito la decisione di queste S.U. n. 23596 del 2010 per la quale "... il processo iniziato davanti ad un giudice, che ha poi dichiarato il difetto di giurisdizione, e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell'unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti a giudice carente della, giurisdizione. Mediante l'istituto della translatio iudicii si mira proprio a realizzare la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria, con esclusione della necessità della riproposizione ex novo della domanda, allorché il giudizio è riattivato innanzi al giudice provvisto di giurisdizione, secondo i principi fissati dalla Corte cost, (sent. 12.3.2007, n. 77) e dalle S.U. di questa Corte (22.2.2007, n. 4109). Il principio della conservazione degli effetti che la domanda avrebbe proposto se presentata al giusto giudice, deve trovare attuazione pratica col consentire alle parti di proseguire davanti ad un secondo giudice quello stesso processo iniziato davanti a quello male individuato dall'attore. I principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia, pur articolata secondo il sistema della Costituzione, attraverso una pluralità di ordini giurisdizionali non sia da questa ostacolata. Ne è derivato l'effetto di una riduzione ad unità del processo dalla domanda alla decisione finale, con la connessa privazione di rilevanza impeditiva, così come per la competenza, all'errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione".
E dunque quando l'atto originante la prosecuzione del processo è atto di riassunzione (L. n. 69 del 2009, art. 59) diretto a consentire la permanenza di un unico procedimento, il suo modello non può essere costituito altro che dall'art. 125 disp. att. c.p.c.. Nondimeno occorre farsi carico della corretta obiezione posta dalla difesa del contro ricorrente che richiama la scelta di adottare il termine riproposizione nella L. del 2009, art. 59, comma 2, la quale postula non già il semplice richiamo al "primo atto" di cui al n. 3 dell'art. 125 disp. att. c.p.c. ma l'articolazione di un atto specificamente volto a versare nel nuovo procedimento il contenuto dell'atto originante il vecchio.
In realtà il legislatore ha adottato, non casualmente, i diversi termini di riassunzione e di riproposizione (pervero unificati nel regime del termine dall'art. 59, comma 4) avendo ben presente la necessità di distinguere le ipotesi della conservata attività della prima domanda per la identità dell'"ambiente" processuale, quello a quo e quello ad quem, da quella del passaggio da un regime prevalentemente impugnatorio ad un regime esclusivamente cognitivo del rapporto, ferma restando in entrambe le ipotesi la conservazione di una unicità del rapporto (che giustifica la preclusione a contestare la giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c., come queste Sezioni Unite hanno ripetutamente affermato: n. 23596 citata e nn. 19256 e 14828, tutte del 2010).
Nel primo caso nessuna revisione della domanda, ne' alcun adattamento del petitum, appare essere predicabile , nel secondo caso emerge essere necessaria la riproposizione - con relativa emendatio - "con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile" (art. 59, comma 2 ultima parte citato), e pertanto tal riproposizione deve essere ragguagliata , nella sua idoneità, alla regola del giudice e del rito innanzi al quale il processo viene a continuare. Nella chiara ratio legis e nella correlata distinzione della forma dell'atto di "prosecuzione" è dunque la risposta alla questione posta in questa sede, dovendosi ritenere che nel passaggio da una giurisdizione quale quella erroneamente evocata (il T.A.R. della Toscana) ad altra quale quella rettamente indicata ed attivata (il T.S.A.P. R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 143), nessuna riproposizione sia esigibile essendo necessario e sufficiente il richiamo al primo atto introduttivo secondo il disposto della disposizione di attuazione del codice di rito civile, richiamata dal rinvio "formale" di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 208 (S.U. n. 8310 del 2010 e n. 5080 del 2008).
Nella specie è la stessa decisione del T.S.A.P., in premessa, a lamentare la mancata indicazione del "fatto" ed, in conclusione nella stessa pagina (7), a censurare come, in realtà, quel che sarebbe mancata è la illustrazione in un unico tessuto storico e logico del rapporto tra la storia degli interventi e le singole doglianze: ma allora appare evidente che il TESSI, ben al di là del doveroso richiamo, aveva formulato una idonea sintesi del "fatto", dei provvedimenti impugnati e delle censure proposte nei tre originari ricorsi, ditalché neanche di carenza di esposizione dei fatti si sarebbe trattato ma di una pretesa incomprensibilità (rectius genericità) delle doglianze, delle quali sarebbe mancata una ricostruzione sistematica agevolatrice della cognizione complessiva del tema, che è questione che attiene semmai alla specificità e comprensibilità delle originarie impugnazioni e non alle condizioni per il loro esame da parte del Giudice della riassunzione. Si accoglie pertanto il ricorso, cassandosi la decisione impugnata e rinviandosi allo stesso Giudice anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale Superiore" delle Acque Pubbliche anche per le spese. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 5 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011


Per comprendere le perplessità suscitate dalla pronuncia, si confronti la medesima con il passo tratto da Tesi di Laurea Magistrale (pagg. 261 - 278):





1.2. La “natura” del meccanismo salvifico introdotto dal legislatore.

1.2.1. Riassunzione del processo, riproposizione della domanda con effetti retroattivi ovvero attribuzione retroattiva di effetti a domanda nuova? Contrasti fra i diversi commi della disposizione.

Il secondo comma dell’art. 59 l. n. 69/2009 assume valore centrale in un’analisi volta a tratteggiare le linee guida della disciplina recentemente introdotta dal legislatore in tema di translatio fra giurisdizioni. La disposizione regola infatti il c.d. “meccanismo della riassunzione658”.
Entrambe le pronunce del 2007 hanno incentrato la propria attenzione sulla riassunzione del processo quale strumento tecnico atto a consentire la trasmigrazione della causa (e la salvezza dei relativi effetti sostanziali e processuali) davanti al giudice munito di giurisdizione: per la Corte di Cassazione, la riassunzione avrebbe determinato di per sé la naturale conservazione degli effetti della domanda; per la Corte Costituzionale, al contrario, essa avrebbe rappresentato strumento “necessario” ma “non sufficiente” allo scopo, risultando imprescindibile la previa eliminazione del “principio d’incomunicabilità” posto alla base dei rapporti fra giurisdizioni659.
Secondo la Consulta, peraltro, il legislatore ordinario (chiamato a disciplinare celermente la materia) avrebbe dovuto ritenersi vincolato unicamente a dare attuazione al principio di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice privo di giurisdizione, potendo disciplinare il meccanismo della riassunzione innanzi al giudice del rinvio nel modo ritenuto più opportuno660: più precisamente, il Parlamento avrebbe dovuto disciplinare la riattivazione della causa prevedendo che la litispendenza presso il giudice a quo

658 Il secondo comma dell’art. 59 l. n. 69/2009 prevede infatti che: “Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile”.
659 Cfr. Corte Cost., 12 marzo 2007, n. 77. Si vedano inoltre le considerazioni effettuate supra, Cap. III par. 4.1. 660 R. GIORDANO, “Translatio iudicii”, cit., pag. 30.


segnasse il momento della decorrenza degli effetti della domanda trasmigrata presso il giudice ad quem (pena l’illegittimità costituzionale della disciplina normativa per contrasto con gli artt. 24 ed 111 Cost.), mentre avrebbe potuto regolare discrezionalmente le modalità del predetto transito661.
In linea teorica, il principio della salvezza degli effetti della domanda può essere attuato non solo mediante il ricorso allo strumento della riassunzione, bensì anche tramite la già richiamata tecnica della riproposizione della domanda (davanti al giudice munito di giurisdizione) con effetti retroattivi al momento della prima proposizione della stessa innanzi al giudice a quo. In tal caso, ciò che inizia davanti al giudice del rinvio è un giudizio nuovo: la lite è considerata pendente ab origine mediante una fictio iuris (con finalità salvifica per l’attore), ma ciò non consente (almeno in linea di principio) la conservazione dell’attività compiuta davanti al giudice previamente adito (trattandosi di attività compiuta in “altro” processo662).
Per conciliare l’affermata “necessità” della riassunzione alla luce della “libertà delle forme” concessa al legislatore, nel capitolo precedente è stato ipotizzato che la Consulta avesse utilizzato il termine “riassunzione” con un significato “neutro”, avulso dalla natura che l’istituto riveste all’interno dell’ordinamento processuale italiano663. Nel codice di rito, infatti, la riassunzione è disciplinata come atto di mero impulso processuale, il quale presuppone una situazione di quiescenza processuale (ma comunque di litispendenza qualificata e non semplice) ed ha come scopo quello di ricostituire il rapporto fra giudice e parti ed evitare l’estinzione del processo664; ciò tuttavia non potrebbe impedire (in un determinato ordinamento) di concepire la riassunzione sostanzialmente come una nuova citazione, con la quale viene “riproposta” la medesima domanda (magari in forma sommaria665): in tal caso, si avrebbe la chiusura in rito del processo originariamente instaurato e l’inizio ex novo di un secondo giudizio avente per oggetto la medesima domanda di giustizia.
Alla luce di siffatta premessa, è facile constatare come la formulazione testuale

661 M. P. GASPERINI, Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 404. 662 Cfr. supra, Cap. III par. 4.1. 663 Si rinvia a quanto affermato supra, Cap. III par. 4.1. 664 Cfr. supra, Cap. II par. 4.1.
665 Tale ipotetico ordinamento potrebbe poi associare la “riassunzione” (così concepita) ad una “retrodatazione” degli effetti del relativo atto, ma potrebbe anche prescinderne.


della norma in esame666 oscilli ambiguamente (ed inopportunamente) fra le due tecniche processuali descritte, denotando una scarsa chiarezza concettuale da parte del legislatore667. Il secondo comma prevede infatti l’onere di riproporre la domanda dinnanzi al giudice indicato come giurisdizionalmente competente (con le modalità e secondo le forme previste in relazione al rito davanti a questi applicabile) con conseguente salvezza (“nel successivo processo”) degli effetti che la domanda “avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio”. Dunque, il legislatore sembrerebbe aver optato per la tecnica della riproposizione della domanda con effetti retroattivi668: tecnica che dal punto di vista dell’economia processuale risulta senza dubbio criticabile669, ma che (a parere di chi scrive) nelle ipotesi di riattivazione della causa dinnanzi a diverso plesso giurisdizionale (caratterizzato da un rito

666 Si riporta, per comodità espositiva, il testo dell’art. 59 l. n. 69/2009: “1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo. 2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile. 3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime Sezioni Unite della Corte di Cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione. 4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’uffico alla prima udienza, ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. 5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova”.
667 In questi termini M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 136; G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 418 (la quale discute invece di “incertezze frutto di una riflessione sistematica non ancora matura”); C. GLENDI, La circolarità dell’azione, cit., pag. 2668 (secondo cui, “stando alla lettera della legge, ci si dovrebbe arrendere alla constatazione di un ginepraio di contraddizioni... la norma sembra essere stata confezionata stratificamente ed a due mani: nei commi 1 – 2 – 5 prevale l’idea della riproposizione della domanda con effetti retroattivi... nei commi 3 – 4 si parla invece di processo e di causa riassunta...”); S. MENCHINI, op. cit., pag. 256 ss.
668 Come ipotizzato da M. BOVE, op. cit., pag. 1300. 669 Comportando, sulla base dei principi generali, la perdita dell’attività processuale compiuta davanti al giudice rivelatosi giurisdizionalmente incompetente (e, per quanto concerne l’attività istruttoria eventualmente esperita, quantomeno la degradazione ad “argomento di prova”): si tratterebbe, infatti, di attività svolta in “altro” processo.


differente, in particolare per quanto concerne il regime delle preclusioni e dell’istruzione probatoria) appare quella in grado di sollevare il minor numero di problematiche applicative670. L’esegesi dell’art. 59 in chiave di riproposizione della domanda con effetti retroattivi é tuttavia impedita dalla lettera dei commi seguenti.
Il successivo comma 3 (ove si introduce l’innovativa possibilità di esperire “regolamento di giurisdizione d’ufficio”) fa espresso riferimento ad un giudice “davanti al quale la causa è riassunta”. Ancor più incomprensibile, se letto in combinato disposto con il secondo comma della norma in esame, risulta il contenuto del comma 4: esso fa riferimento ad un onere della parte di riassumere o proseguire il processo davanti al giudice giurisdizionalmente competente entro un termine perentorio, pena l’estinzione del medesimo e la mancata conservazione degli effetti della domanda. Oltre a non essere chiaro se siano gli effetti della domanda proposta davanti al giudice privo di giurisdizione a conservarsi (ex comma 4) per effetto della tempestiva riassunzione presso il giudice ad quem ovvero se siano gli effetti della domanda riproposta davanti a quest’ultimo ad essere retrodatati (ex comma 2) al momento dell’instaurazione del giudizio a quo671, la più grave discrasia contenuta nell’art.

670 Nei medesimi termini si esprime anche M. BOVE, op. cit., pag. 1300. Secondo l’Autore, “il legislatore avrebbe scelto la soluzione forse più ragionevole: il processo irritualmente iniziato si chiude, salva la possibilità di instaurare un nuovo processo (purgato del difetto di giurisdizione) che ha come unica peculiarità quella di retrodatare gli effetti sostanziali e processuali del suo atto iniziale all’atto iniziale di un processo precedente; sempre che questa seconda domanda sia proposta entro un certo termine perentorio”.
671 Il rilievo è di A. TRAVI, La nuova disciplina della translatio, cit., pag. 914; M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 136. Propende per una mera conservazione degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda al giudice privo di giurisdizione (analogamente a quanto avviene in materia d’incompetenza) G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 427. Al contrario, S. MENCHINI, op. cit., pag. 261 s. ritiene che si possa discutere unicamente di “retrodatazione” degli effetti propri della proposizione della domanda davanti alla giurisdizione del rinvio: poiché le giurisdizioni sono diverse, è infatti probabile che parzialmente differenti siano anche le discipline concernenti gli effetti sostanziali e processuali prodotti dai relativi atti introduttivi del giudizio; il legislatore avrebbe preso atto di ciò stabilendo che gli effetti che si producono sono quelli tipici delle azioni introdotte davanti al giudice munito del potere giurisdizionale che, per salvaguardare il principio costituzionale di “conservazione”, sono retrodatati al tempo della prima proposizione della domanda davanti alla giurisdizione errata. Il pensiero è condiviso da R. GIORDANO, “Translatio iudicii”, cit., pag. 31 (la quale evidenzia come non si possa ritenere, in via generale ed astratta, che la proposizione di domande dinanzi a giudici appartenenti a differenti ordini giurisdizionali produca sempre i medesimi effetti). Secondo P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione, cit., pag. 119 (il quale riprende la teoria elaborata da E. F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione, cit., pag. 1539 s.), la “conservazione” degli effetti della domanda prescindendo dalla circostanza che essa è stata proposta originariamente ad un giudice privo di giurisdizione impone


59 è indubbiamente quella di aver sanzionato la mancata tempestiva riproposizione della domanda con l’estinzione del processo: il sottile giurista, infatti, non tarderà a domandarsi come possa estinguersi un processo che non è ancora iniziato672.
Nell’ultimo comma dell’articolo in esame, infine, è stato espressamente previsto che “in ogni caso di riproposizione della domanda” le prove raccolte “nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione” debbano valere come “argomenti di prova”. La disposizione appare perfettamente congruente con l’ipotesi di un processo che é riattivato, mediante riproposizione della domanda presso il giudice ad quem, dopo essersi definitivamente chiuso in rito davanti al giudice privo di giurisdizione: in tal caso, la scelta del legislatore (ossia di dettare una disciplina sostanzialmente analoga a quella prevista dall’art. 310, 3 c.p.c. per il caso dell’estinzione del processo) sarebbe dotata di intrinseca coerenza, trattandosi pur sempre di prove acquisite in “altro” processo. Ciò, tuttavia, rende difficile (se non addirittura impossibile) spiegare la previsione (ex comma 2) secondo cui nel processo davanti al giudice del rinvio “restano ferme le preclusioni...intervenute”: come evidenziato poc’anzi, la riproposizione della domanda con effetti retroattivi esclude la possibilità di un recupero (quantomeno integrale673) dell’attività compiuta davanti al giudice che declina la propria giurisdizione, ma d’altro canto esclude anche la trasmigrazione delle preclusioni maturate nel giudizio a quo (non verificandosi la continuazione del medesimo processo674).
Tenuto conto delle discrasie evidenziate, non può stupire come la dottrina (nel commentare in prima battuta la nuova disciplina in tema di trasmigrazione della causa fra giurisdizioni) abbia incontrato notevoli difficoltà nell’inquadrare il meccanismo introdotto dal legislatore del 2009 all’interno dei modelli di translatio finora conosciuti. Gli studiosi che hanno rilevato nell’art. 59 un meccanismo riassuntivo hanno rimproverato al legislatore l’uso di un linguaggio

una duplice “finzione giuridica”: la prima consiste nel considerare iniziato il giudizio iniziato davanti al secondo giudice nella data in cui lo è stato davanti al primo; la seconda, invece, consiste nel ricollegare alla domanda davanti al secondo giudice i medesimi effetti (sostanziali e processuali) che essa avrebbe prodotto se fosse stata sin dall’inizio proposta al giudice fornito di giurisdizione.
672 S. MENCHINI, op. cit., pag. 257 (in particolare, cfr. nota 36). 673 Cfr. nota 669. 674 M. BOVE, op. cit., pag. 1300 s.


approssimativo ed “a – tecnico675”, nonché di aver usato come sinonimi i termini “riassunzione”, “riproposizione” e “prosecuzione676”: hanno proposto pertanto di considerare i riferimenti alla riproposizione della domanda quali semplici “sviste”, e di procedere in siffatte situazioni alla riassunzione del processo; coloro i quali hanno basato invece l’intera esegesi sul disposto del secondo comma (“la domanda è riproposta”) non sono stati in grado di attribuire un senso alla previsione dell’estinzione del processo677 ed a quella secondo cui nel secondo giudizio instaurato restano ferme le preclusioni maturate nel corso del primo (oramai chiuso in rito), e sono stati costretti ad avanzare una vera e propria lettura abrogatrice della norma678.
Per tentare di ricomporre il contenuto precettivo dell’art. 59 con un minimo di dignità teorica, si potrebbe allora ipotizzare un’esegesi delle disposizioni in esso

675 C. ASPRELLA, op. cit., pag. 170 s. Significativo il seguente passo: “del resto, diversamente opinando, ossia ritenendo che la norma consenta la riproposizione della domanda ma con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda precedente, altro non si fa che dire che il processo prosegue; e, pertanto, discutere dell’utilizzo del termine ‘riproposizione’ invece che dell’espressione più corretta ‘riassunzione’ appare un ‘mero esercizio di stile’...”. L’Autrice sembrerebbe quindi dimenticare l’esistenza (per lo meno nell’ordinamento tedesco: cfr. supra, Cap III par. 4.1.) della tecnica processuale della riproposizione della domanda con effetti retroattivi.
676 In particolare C. CONSOLO, La translatio iudicii tra giurisdizioni, cit., pag. 1267 (il quale discute di “lessico non sempre appropriato ed in alcuni casi fuorviante... specie se non si comprende bene che è lo stesso rapporto processuale che può proseguire senza più barriere alla comunicabilità intergiurisdizionale...: in altri termini, l’espressione ‘la domanda è riproposta’ dovrebbe essere più correttamente letta come ‘il processo è riassunto’ davanti al giudice munito di giurisdizione...”).
677 Come evidenziato poc’anzi, il quarto comma dell’art. 59 così dispone: “L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda”. Al riguardo, si riporta il pensiero di E. F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione, cit., pag. 1542 (in particolare, nota 12) fautore di una lettura della disciplina contenuta nell’art. 59 in chiave di riproposizione della domanda con effetti retroattivi: “La previsione dell’estinzione sembra il frutto di una piramidale confusione di idee...; l’ipotesi che qualcuno possa pretendere di applicare letteralmente l’ultima parte del comma (ove viene impedita la conservazione degli effetti della domanda), magari invocando il dura lex sed lex, fa venire la pelle d’oca... Supponiamo (prima lettura possibile) che l’estinzione e l’asserita inettitudine a produrre effetti sostanziali e processuali siano riferite alla domanda riproposta in seconda battuta: da un lato, tale domanda risulterebbe totalmente inutile anche al fine di salvare dalla prescrizione il diritto controverso; dall’altro, essa sarebbe inidonea a ricevere una qualsiasi decisione di merito, e poiché tale regola sembra ripetibile all’infinito (anche di fronte a successive e reiterate iniziative presso il giudice indicato nella declinatoria) il diritto alla tutela giurisdizionale verrebbe definitivamente perduto dall’attore... Supponiamo poi (seconda lettura possibile) che invece sia totalmente priva di effetti la domanda inizialmente proposta al giudice errato: in questo caso, la norma sembrerebbe dirci che il procedimento presso quest’ultimo è tamquam non esset (come se su di esso fosse passato Attila), con buona pace di quanto previsto in tema di prescrizione dall’art. 2945, 3 c.c. ...”.
678 Come prospettato, in particolare, da M. BOVE, op. cit., pag. 1301.


contenute fondata sulla sostanza della norma679. Dall’esame del dettato normativo nel suo complesso, infatti, si possono riscontrare chiari indici (in particolare, la previsione dell’estinzione del processo e la trasmigrazione delle preclusioni maturate) della volontà del legislatore di introdurre un peculiare meccanismo riassuntivo: una riassunzione del processo mediante riproposizione della domanda680.
L’utilizzo di tale tecnica, sebbene differente rispetto a quella sulla quale sono fondati i modelli di translatio previsti per il caso dell’incompetenza del giudice ordinario, trova comunque dei precedenti sia nell’ambito del processo civile che in quello amministrativo. Va infatti ricordato come (ai sensi dell’art. 392 c.p.c.) il giudizio di rinvio seguente alla cassazione per motivi diversi dal difetto di giurisdizione o di competenza debba essere instaurato mediante la riproposizione

679 Come ipotizzato da C. GLENDI, La circolarità dell’azione, cit., pag. 2668 ss.; parere contrario è invece espresso da E. F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione, cit., pag. 1541. 680 Evidenziano l’uso di tale forma peculiare di riassunzione B. RAGANELLI, op. cit., pag. 780 s.; R. GIORDANO, “Translatio iudicii”, cit., pag. 35; L. MENCHINI, op. cit., pag. 259 ss.; G. BALENA, La nuova pseudo – riforma, cit., pag. 761; C. MALINCONICO, op. cit., pag. 295; G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 428 s.; L. SALVANESCHI, op. cit., pag. 339; M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 136 ss. Discutono invece di translatio iudicii sui generis: C. GLENDI, op. cit., pag. 2669 (“non è una vera e propria continuazione del processo iniziale, ma neppure è proposizione ex novo della domanda in altro processo slegato da ogni termine rispetto a quello iniziale...è un processo in cui viene riproposta la stessa domanda con le modalità e le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in seconda battuta e nel quale sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda stessa così come originariamente proposta... si può parlare di una sorta di riassunzione o prosecuzione del processo originario, anche se per altri aspetti, ed in particolare per quanto attiene alle prove, non essendovi vera continuazione del processo quelle raccolte davanti al giudice privo di giurisdizione valgono pur sempre solo come argomenti di prova: in definitiva, tertium genus di raccordo”; M. C. VANZ, Il funambolico confine tra giurisdizioni, cit., pag. 11 s. (la quale evidenzia come, allo stato attuale della normativa e per quanto concerne i rapporti fra giudice ordinario ed amministrativo, possa discutersi di autentica riassunzione del processo solo nelle vertenze aventi per oggetto diritti soggettivi); M. DI MARZIO, op. cit., pag. 124 ss. (il quale discute di carattere “ibrido” dell’atto previsto dalla norma in esame, poiché il processo introdotto davanti al giudice carente di giurisdizione prosegue con salvezza dei relativi effetti, ma è allo stesso tempo reintrodotto davanti al giudice indicato non mediante l’originario atto introduttivo bensì attraverso uno nuovo, eventualmente “riformulato” secondo le esigenze del rito del rinvio). Fra gli Autori che persistono nel discutere di “classica” riassunzione del processo (pur con alcune perplessità dovute dall’assenza di un riferimento letterale alla “continuazione”, invece presente nell’art. 50 c.p.c.), si vedano in particolare: C. MANDRIOLI – A. CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino, Giappichelli, 2009, pag. 27; I. RAIOLA, op. cit., sub 3; C. CONSOLO, La translatio iudicii tra giurisdizioni, cit., pag. 1267 ss. Ritengono invece che il legislatore del 2009 abbia voluto introdurre un “imperfetto” meccanismo di riproposizione della domanda con effetti retroattivi E. F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione, cit., pag. 1540 ss. (il quale si limita a riproporre pedissequamente la teoria analizzata supra, Cap. III par. 5.1., cui si rinvia); M. BOVE, op. cit., pag. 1300 ss.


della citazione originaria: in tali situazioni, la dottrina681 ha ravvisato gli estremi della riassunzione (nonostante la forma prevista per la stessa), negando inoltre all’istituto natura di mezzo d’impugnazione; allo stesso modo, nell’ambito del processo amministrativo, è stato interpretato il disposto contenuto nell’ultimo comma dell’art. 31 Legge Tar (“quando l’istanza di regolamento di competenza sia accolta, il ricorrente può riproporre l’istanza al Tribunale territorialmente competente entro trenta giorni dalla notifica della decisione d’accoglimento”): la giurisprudenza ha infatti ammesso che la “riproposizione” del ricorso costituisse riassunzione del precedente procedimento (e non inizio di un giudizio ex novo682). D’altro canto, è stata proprio la dottrina (sia civile che amministrativa) ad affermare in più occasioni l’irrilevanza del criterio nominalistico al fine di distinguere tra “riassunzione”, “citazione/ricorso” ovvero “impugnazione”; ed in senso sostanzialistico si è da sempre orientata anche la giurisprudenza di legittimità, sia antecedente che successiva all’entrata in vigore della disposizione qui in esame683: in particolare, nella recente ordinanza 8 febbraio 2010, n. 2716684, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (svalutando del tutto il rilievo della lettera della norma) hanno affermato che “in siffatta prospettiva, nella quale i principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia, pur articolata (secondo il sistema disegnato dalla stessa Costituzione) attraverso una pluralità di ordini giurisdizionali, non sia da questa ostacolata, si realizza la sostanziale riduzione

681 Come ampliamente dimostrato da A. SALETTI, La riassunzione, cit., pag. 73 ss. (in particolare, pag. 80 ss.). Parere conforme è manifestato da A. PICONESE, op. cit., pag. 2248 (in particolare, nota 6). 682 Il rilievo è di A. PICONESE, op. cit., pag. 2251 ss. Cfr. inoltre le considerazioni effettuate al riguardo supra, Cap. III par. 6.1. – 6.2.
683 Per quanto concerne la posizione assunta dalla dottrina e dalla giurisprudenza relativamente all’utilità del “criterio nominalistico” per distinguere fra riassunzione del processo ed inizio ex novo del giudizio, si rinvia a quanto affermato supra, Cap. II par. 4.1. (in particolare nota 233). Cfr. inoltre Tar Lazio – Roma, sez. III, 18 ottobre 1981, n. 1077; Tar Lazio – Roma, sez. III, 15 febbraio 1982, n. 149; Tar Lazio – Roma, sez. II, 7 febbraio 1983, n. 64; Tar Lazio – Roma, 7 dicembre 1984, n. 721; Tar Lazio – Roma, sez. II, 23 settembre 1985, n. 2305; Cons. St., sez. V, 18 novembre 1982, n. 793; Cons. St., sez. VI, 4 novembre 1999, n. 1720; Cons. St., sez. VI, 11 novembre 2004, n. 7307 (pronunce nelle quali si afferma l’irrilevanza, ai fini della riassunzione del processo amministrativo in seguito a proposizione di regolamento di competenza, della forma dell’atto utilizzato: essa può avvenire sia con comparsa che con ricorso in riassunzione, purché l’atto disponga dei requisiti sostanziali previsti dall’art. 125 disp. att. c.p.c.). Si veda infine A. CARACCIOLO LA GROTTERIA, op. cit., pag. 107 ss. (in particolare note 119 - 122).
684 Cass., Sez. Un., ord. 8 febbraio 2010, n. 2716 in Corr. giur., 2010, pag. 756 ss. con nota di C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit.


ad unità del processo (al di là delle formule adottate dalla l. n. 69/2009, che ad essa dà attuazione) dalla fase della domanda a quella della decisione, con la connessa esclusione di ogni rilevanza impeditiva all’eventuale errore iniziale della parte nell’individuazione del giudice provvisto di giurisdizione”.
Per avere conferma di quanto ipotizzato, occorrerà indagare se nel dettato normativo dell’art. 59 l. n. 69/2009 vi sia qualche elemento che possa impedire una lettura del meccanismo previsto dal legislatore in termini di (sostanziale) riassunzione del processo. Come evidenziato nei capitoli precedenti, le maggiori difficoltà nel descrivere la riattivazione del giudizio innanzi al plesso giurisdizionale competente in termini di (mera) riassunzione sono rappresentate dalla divergenza di “oggetto” (petitum e causa petendi) fra domande proponibili davanti al giudice ordinario ed amministrativo685, nonché dalla possibilità (o meno) di considerare il processo come ancora “pendente” in seguito alla pronuncia declinatoria della giurisdizione.

1.2.2. Gli ostacoli ad una ricostruzione della disposizione in termini di riassunzione del processo (mediante riproposizione della domanda). Il problema della c.d. “trasformazione del petitum” e la pendenza del processo in seguito alla declinatoria di giurisdizione.

Il problema derivante dalla diversità di “oggetto” fra domande proponibili rispettivamente al giudice ordinario ed amministrativo è stato affrontato in un paio di occasioni nell’ambito della presente ricerca. Occorrerà pertanto effettuare un breve riepilogo di quanto già affermato, in modo tale da poter concludere l’analisi della tematica.
Il primo giurista a dedicare (nel 1994) uno studio approfondito all’argomento era stato Dino Buoncristiani686, il quale aveva distinto fra casi in cui la domanda (in

685 Tale problema, peraltro, si porrebbe anche nell’ipotesi in cui il legislatore avesse effettivamente optato per l’introduzione di una disciplina di riproposizione della domanda con effetti retroattivi. L’oggetto della domanda “riproposta”, infatti, dovrebbe essere identico a quello della domanda “originaria”: in caso contrario, si verificherebbe una (anomala) “attribuzione retroattiva di effetti a domanda nuova”.
686 D. BUONCRISTIANI, op. cit., pag. 151 ss. Si rinvia inoltre a quanto affermato supra, Cap. II par. 5.3.


seguito alla trasmigrazione del processo davanti ad altra giurisdizione) presentasse unicamente una differente esposizione della causa petendi da quelli in cui a mutare fosse anche il petitum (immediato ovvero mediato). Nella prima ipotesi, criticando l’opinione assolutamente dominante in dottrina e giurisprudenza, lo studioso aveva sostenuto che le norme processuali in tema di riparto di giurisdizione si limitassero a circoscrivere il potere di “sussunzione” del giudice a determinati profili giuridici della medesima “pretesa sostanziale”, ma non anche l’oggetto del processo (il quale sarebbe rimasto identico davanti ai due plessi giurisdizionali); per la seconda ipotesi, al contrario, il giurista non era stato in grado di trovare una soluzione che consentisse la trasmigrazione della “medesima” domanda in seguito alla declinatoria di giurisdizione: pur evidenziando come anche in tali situazioni la “realtà fattuale” / “pretesa fattuale” fosse la medesima, il ricercatore aveva osservato come la diversità di grado e di forme di tutela previste dall’ordinamento, nonché la diversa connotazione “sostanziale” che la Costituzione stessa ha attribuito alle diverse pretese (diritto soggettivo – interesse legittimo) non consentisse il configurarsi di una continuazione del medesimo processo. In ogni caso, l’Autore aveva concluso la propria dissertazione ipotizzando (probabilmente in senso provocatorio) una soluzione del problema: considerare la differenza di petitum come semplice “differenza di effetti giuridici” legata alla “diversa qualificazione” della “medesima realtà fattuale”.
A distanza di quasi dieci anni (2002) la problematica era stata nuovamente affrontata da un’altra giovane ricercatrice (Maria Pia Gasperini687), la quale aveva proposto una soluzione (di chiovendiana memoria688) al dilemma del Buoncristiani per le sole ipotesi di declinatorie provenienti dalla Cassazione. Tenuto conto della posizione di vertice che l’organo giudiziario in questione assume nell’ordinamento nazionale (nonché di giudice supremo sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi), la Suprema Corte (a detta della studiosa) avrebbe potuto svolgere una funzione di “anello di congiunzione” fra le giurisdizioni e, nell’atto di qualificare (in modo vincolante e con efficacia pan – processuale) la

687 M. P. GASPERINI, Il sindacato della Cassazione sulla giurisdizione, cit., pag. 313 ss. Cfr. supra, Cap. II par. 5.3. 688 Cfr. nota 322.


posizione soggettiva fatta valere in giudizio, sarebbe stata eventualmente in grado di “trasformare” la domanda di tutela di un diritto soggettivo in domanda di tutela di un interesse legittimo (e viceversa). Nel periodo immediatamente successivo alla “rivoluzione pretoria” del 2007, la tematica era divenuta quantomai di attualità. Come analizzato nel capitolo precedente, la teoria avanzata da Gasperini non aveva avuto seguito in dottrina689: i giuristi si erano infatti divisi fra sostenitori di una necessaria riformulazione dell’atto introduttivo690 e coloro i quali avevano affermato la possibilità di consentire una regolarizzazione del medesimo (ad opera delle parti ovvero del giudice ad quem691). Non era mancato infine chi692 ebbe a sostenere (peraltro motivando adeguatamente il proprio convincimento) la provocazione con la quale il Buoncristiani aveva concluso il proprio saggio nel 1994.
In seguito all’emanazione dell’art. 59 l. n. 69/2009, è stata la stessa Maria Pia Gasperini (in due nuovi saggi693) a riprendere il filo conduttore della tematica694. Dall’analisi dei suoi scritti, emerge come l’Autrice abbia finito a sua volta per “abbracciare” la provocazione del Buoncristiani.
Nel commentare la nuova disposizione in tema di translatio fra giurisdizioni, la studiosa (pur rimproverando al legislatore l’uso di un linguaggio spesso ambiguo) ha valutato positivamente la scelta di prevedere la “riproposizione della domanda” quale mezzo per garantire la continuazione del medesimo rapporto processuale instaurato presso il giudice privo di giurisdizione. Tale sorta di “contaminazione” fra la tecnica della riassunzione del processo e quella della riproposizione della domanda con effetti retroattivi avrebbe infatti il pregio (a detta dell’Autrice) di

689 Cfr. supra, Cap. III par. 5.1. 690 A. SCOGNAMIGLIO, op. cit., pag. 1122. Dopo l’entrata in vigore dell’art. 59 l. n. 69/2009, la necessità di una riformulazione dell’atto introduttivo è stata sostenuta da M. DI MARZIO, op. cit., pag. 124 ss.; S. MENCHINI, op. cit., pag. 257 ss.; S. PUCCI, op. cit., pag. 81. 691 C. E. GALLO, La translatio iudicii, cit., pag. 930 s.; A. CALDARERA, op. cit., pag. 743 s. Dopo l’entrata in vigore della norma in commento, la necessità di una regolarizzazione dell’atto introduttivo è stata sostenuta da L. BERTONAZZI, op. cit., pag. 869; R. GIORDANO, “Translatio iudicii”, cit., pag. 35. 692 R. FRASCA, op. cit., pag. 487; C. CACCIAVILLANI, Translatio iudicii, cit., pag. 1048. 693 M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 136 ss. (in particolare, pag. 138 s.); ID., Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 403 ss. (in particolare, pag. 406 s.). 694 Va peraltro evidenziato come la maggior parte degli autori, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 59 l. n. 69/2009, non sia stata in grado di fornire una soluzione esaustiva al problema (o, semplicemente, abbia omesso di analizzare la tematica). Si vedano, a titolo esemplificativo, le perplessità sollevate al riguardo da A. PROTO PISANI, La riforma del processo civile, cit., pag. 226 (nonché dal Fabbrini: cfr. supra, Cap. II par. 5.4.).


configurare un peculiare meccanismo di translatio in cui la continuazione del processo davanti ad altro plesso giurisdizionale sarebbe in grado di avvenire non solo attraverso un atto di riassunzione tout court (vale a dire mediante un atto d’impulso nel quale la domanda sottoposta alla cognizione del primo giudice è ripresentata tale e quale davanti al secondo giudice, sebbene con le modalità e nelle forme previste per il giudizio dinanzi a quest’ultimo) ma anche tramite un atto (comunque finalizzato alla continuazione del medesimo processo695) nel quale la domanda è opportunamente rimodulata (ossia corredata da una nuova esposizione del petitum e della causa petendi696). In altri termini, il meccanismo disciplinato dall’art. 59 consentirebbe la possibilità di translatio sia nei casi in cui la domanda non debba mutare (nemmeno formalmente) sia nei casi in cui la necessità di adire una diversa giurisdizione implichi, per forza di cose, un necessario restyling della domanda (ferma restando, secondo l’Autrice, l’identità della “pretesa sostanziale697”).
A ben vedere, quanto affermato dall’insigne giurista non sembra offrire una soluzione particolarmente innovativa al problema. Una “rimodulazione” della pretesa originaria (a detta della dottrina che maggiormente si é soffermata nel ricercare le caratteristiche peculiari della “riassunzione” del processo) sarebbe infatti ammissibile anche a mezzo della tradizionale comparsa ex art. 125 disp. att. c.p.c., consistendo in una emendatio (lecita) della domanda (e non in una mutatio della stessa, assolutamente vietata nell’ambito di un mero atto riassuntivo698).
Non bisogna dimenticare poi come fosse stata la stessa Autrice (nel 2002) ad

695 Ma non più considerato dall’Autrice quale atto di mero impulso, nel quale il riferimento al contenuto della domanda si esaurisce nel semplice richiamo all’atto introduttivo del giudizio ex. art. 125 disp. att. c.p.c. (M. P. GASPERINI, Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 405). 696 Esemplificando: se il giudice ordinario dichiara il difetto di giurisdizione a favore della giurisdizione amministrativa di legittimità, la prosecuzione del giudizio presso il Tar renderà de plano proponibile la domanda d’annullamento del provvedimento amministrativo in luogo della domanda d’accertamento del diritto. Solo in questo senso, secondo l’Autrice, possono essere ammesse “domande nuove” (assolutamente vietate nell’ambito della trasmigrazione del processo: cfr. supra, Cap. II par. 3 – 4.1).
697 M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 138 s.; ID., Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 405 ss. (in particolare pag. 406, ove si afferma che “la praticabilità della tecnica ‘pura’ della translatio deve fare i conti con i criteri di riparto delle varie giurisdizioni così come disciplinati nel nostro ordinamento, in particolare... quando il criterio di riparto non è fondato sul mero riferimento ad una data materia, ma sulla diversa natura della situazione sostanziale tutelata”). Tale posizione è condivisa da C. GLENDI, La circolarità dell’azione, cit., pag. 2669. Analogamente, C. CONSOLO, Translatio iudicii e compiti del regolamento di giurisdizione, cit., pag. 763.


evidenziare come non fosse una diversità “formale” fra domande ad impedire la conservazione degli effetti sostanziali e processuali quanto la loro diversità “sostanziale”, derivante dalla differente consistenza delle situazioni giuridiche (diritto soggettivo – interesse legittimo) fatte valere in giudizio699.
E’ stata infatti la Costituzione a fondare il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario ed amministrativo sulla imprescindibile distinzione fra diritto soggettivo ed interesse legittimo700, e tale distinzione è stata concepita sino ad oggi non tanto come tra diverse qualificazioni giuridiche della stessa pretesa sostanziale quanto fra diverse pretese sostanziali. Esse risultano caratterizzate da una propria natura, da un proprio contenuto giuridico e da differenti tecniche (e gradi) di tutela: in definitiva, da un’autonoma connotazione sostanziale, che la stessa Costituzione ha riconosciuto ponendole su un eguale piano di dignità701. E ciò sembra valere

698 Cfr. A. SALETTI, La riassunzione, cit., passim (in particolare, pag. 186 ss.); C. ASPRELLA, op. cit., pag. 69. Si rinvia inoltre a quanto affermato supra, Cap. II par. 4.1. Si potrebbe allora ipotizzare che il legislatore del 2009 abbia utilizzato tale peculiare forma di riassunzione del processo (vale a dire un atto che assume le caratteristiche formali, ma non sostanziali, di quello introduttivo del giudizio davanti alla giurisdizione del rinvio) semplicemente poiché il processo non è mai stato pendente davanti al plesso giurisdizionale indicato nella pronuncia declinatoria.
699 M. P. GASPERINI, Il sindacato della Cassazione sulla giurisdizione, cit., pag. 313 ss. (in particolare, pag. 317 s.). Si veda inoltre ID., Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 408 ss., ove l’Autrice cerca di offrire una giustificazione al proprio mutamento d’opinione. Essa si fonda sull’evoluzione della disciplina in materia di risarcibilità dell’interesse legittimo, in particolare alla luce delle note sentenze Cost. n. 204/2004 e n. 191/2006: l’aver attribuito alla cognizione del giudice amministrativo le domande di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi (non quale nuova “materia” bensì come nuova tecnica di tutela della posizione giuridica soggettiva) avrebbe determinato una notevole attenuazione delle differenze esistenti fra posizioni di “diritto” ed “interesse”. Ciò avrebbe reso più semplice discutere di “identità sostanziale” dell’oggetto del giudizio che si svolge davanti al giudice ordinario e dinanzi al giudice amministrativo di legittimità: la vicenda “sostanziale” resterebbe la stessa, così come la pretesa sostanziale dell’attore (vedere paralizzati / caducati gli effetti dell’azione amministrativa), mentre a mutare (in relazione della giurisdizione) sarebbe la qualificazione giuridica dei fatti che caratterizzano il rapporto fra privato ed Amministrazione; la qualificazione del rapporto come “paritario” (perché, ad esempio, l’Amministrazione ha agito in carenza di potere) giustificherebbe la proposizione della domanda al giudice ordinario in quanto avente per oggetto un diritto soggettivo, mentre la qualificazione del rapporto come “autoritativo” (perché, ad esempio, l’Amministrazione ha adottato un provvedimento illegittimo) giustificherebbe la proposizione del ricorso al giudice amministrativo in quanto la situazione dedotta si configurerebbe come interesse legittimo.
700 Come ribadito dalle sentenze della Corte Cost. n. 204/2004 – n. 191/2006. Cfr. al riguardo Cap. III, par. 1. 701 Il fatto che, alla luce dei recenti mutamenti legislativi e giurisprudenziali, anche la posizione soggettiva individuata col termine “interesse legittimo” goda di una tutela quantomai “piena” ed effettiva (come del resto impone la stessa Unione Europea) non potrebbe indurre di per sé a discutere di identità della pretesa sostanziale. Nulla potrebbe impedire al legislatore, in un futuro prossimo, di prevedere (ferme restando le esigenze di pienezza ed effettività) ulteriori tecniche di tutela differenziate per le diverse posizioni soggettive previste dalla Costituzione: in tal caso si dovrebbe “nuovamente” discutere di diversità della pretesa sostanziale? Va infine osservato come la tecnica di tutela fondata sull’annullamento del provvedimento sia tuttora monopolio del giudice amministrativo (anche se l’art. 113 Cost. non sembrerebbe impedirne, in futuro, un conferimento


ancora oggi, nonostante le recenti innovazioni legislative (in particolare, ci si riferisce alla possibilità prevista dall’art. 30 c.p.a. di domandare il risarcimento del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo senza dover esperire pregiudiziale azione d’annullamento del provvedimento lesivo702).
Non è un caso, dunque, che l’insoddisfazione per soluzioni che conducano all’appiattimento di ogni differenza concettuale fra posizioni soggettive espressamente distinte dal Costituente (e tuttora dotate di differente consistenza sostanziale) abbia condotto parte della dottrina a ripercorrere la via (tracciata e poi abbandonata da Gasperini) della c.d. “trasformazione del petitum”.
In una recente monografia (2009), G. Gioia703 ha analizzato i nuovi poteri attribuiti dall’ordinamento al giudice che declina la propria giurisdizione. Alla luce dell’articolo 59 l. n. 69/2009 (in particolare, di quanto stabilito nel terzo comma), oggi anche il giudice di merito (e non solo la Corte di Cassazione) appare in grado di “qualificare” la domanda innanzi a lui erroneamente proposta con una certa efficacia vincolante per il giudice ad quem.
Più precisamente, il giudice a quo (nell’atto di verificare ed eventualmente declinare la propria giurisdizione) sarebbe oggi in grado di determinare la corretta qualificazione della domanda innanzi a lui proposta (causa petendi, petitum immediato e mediato): tale domanda (intesa in tali termini) sarebbe quella successivamente oggetto di (mera) riassunzione davanti al giudice giurisdizionalmente competente, e di conseguenza non vi potrebbe essere alcun problema né di mutatio della medesima ad opera delle parti né di necessario (ed inopportuno) riferimento alla (sola) pretesa fattuale. Il giudice del rinvio, a sua

anche al giudice ordinario). 702 I primi tre commi dell’art. 30 c.p.a. prevedono infatti che: “1. L'azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma. 2. Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. 3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi é proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si é verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”. 703 G. GIOIA, La decisione sulla questione di giurisdizione, cit., pag. 174 ss. (in particolare, pag. 183 ss.). Cfr. inoltre ID., La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 434 ss.


volta, non potrebbe mutare la qualificazione della domanda così come contenuta nell’atto riassuntivo, se non rimettendo la questione alle Sezioni Unite mediante regolamento di giurisdizione d’ufficio704. L’odierna previsione ex lege di un vincolo (per il giudice ad quem) alla decisione sulla questione di giurisdizione operata dal giudice a quo705 permetterebbe dunque di superare anche le obiezioni di chi (in primis la stessa Gasperini) aveva fondato l’impossibilità di una trasformazione del petitum ad opera del giudice di merito proprio sull’assenza di un potere in capo a quest’ultimo di statuire con efficacia vincolante sulla giurisdizione altrui706.
Obiezione che (sulla base di quanto affermato in tema di translatio per incompetenza del giudice civile) non poggiava comunque su una solida base teorica. Il vincolo per il giudice della riassunzione non costituisce infatti effetto indefettibile della translatio, né tantomeno suo presupposto imprescindibile: esso costituisce, piuttosto, una scelta di politica legislativa volta ad evitare infinite

704 Si riportano le parole dell’Autrice (G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda, cit., pag. 434 s.): “L’effetto che la sentenza sulla giurisdizione produce nel mondo giuridico, oltre che nell’individuazione del giudice tenuto a decidere la causa, si estrinseca anche nella ‘qualificazione della situazione giuridica sostanziale’ che si intende far valere in giudizio, qualificazione che non può più essere messa in discussione dal giudice del merito che decida di adeguarsi alla determinazione della giurisdizione...; di fronte alla decisione sulla giurisdizione, il giudice non può procedere ad una diversa qualificazione degli stessi fatti posti a base del giudicato sulla giurisdizione, a meno che non attinga ai limiti che gli permettono di contraddire la pronuncia emessa e, quindi, denegare la sua giurisdizione con rimessione alle Sezioni Unite...; si tratta, infatti, dello stesso campo d’azione della sentenza affermativa della giurisdizione emessa dal giudice di merito nel proseguo della causa fino alla decisione definitiva: risulta fuor di dubbio, infatti, che questi non potrà più tornare sulla questione una volta decisa con sentenza. La perpetuatio degli effetti riconosciuta dalla norma si produce proprio sulla domanda così qualificata: in altri termini, la domanda d’annullamento davanti al giudice amministrativo adito in riassunzione a seguito di una domanda tesa ad ottenere il solo risarcimento del danno proposta davanti al giudice civile risulterà ammissibile e produrrà gli effetti della perpetuatio nella misura in cui sia qualificata in questi termini dal primo giudice adito (che appunto perciò avrà ritenuto il proprio difetto di giurisdizione ‘interpretando’ la domanda, pur testualmente formulata in termini di accertamento o condanna, come richiedente anche un previo passaggio ‘costitutivo’ di caducazione del provvedimento amministrativo). Viceversa, la domanda di risarcimento del danno a fronte di una domanda di solo annullamento sarà ammissibile davanti al giudice civile e produrrà gli effetti della perpetuatio laddove sia stata qualificata in questi termini dal giudice amministrativo previamente adito. In definitiva, il vincolo sulla qualificazione della domanda resta fermo (a meno che il secondo giudice ritenga di non avere giurisdizione e rimetta alle Sezioni Unite la questione nei termini di legge), mentre l’esistenza della situazione sostanziale invocata, tutelabile con la qualificazione datane dal giudice a quo, è meramente ipotetica: la ‘pertinenza del diritto’, di cui all’art. 386 c.p.c., rimane una questione del tutto aperta”. La teoria dell’Autrice è condivisa da C. ASPRELLA, op. cit., pag. 166.
705 Vincolo parziale, in quanto (sebbene non possa a sua volta pronunciarsi sulla propria giurisdizione) gli è concesso “ribellarsi” all’indicazione contenuta nella declinatoria mediante proposizione del regolamento di giurisdizione d’ufficio (previsto dal terzo comma dell’art. 59). 706 Cfr. M. P. GASPERINI, Il sindacato della Cassazione sulla giurisdizione, cit., pag. 322 ss.


trasmigrazioni dilatorie707. Condividendo le conclusioni prospettate dalla dottrina per ultimo analizzata riguardo al tema dell’identità dell’oggetto del processo, resta dunque da affrontare l’ultimo ostacolo ad una lettura dell’art. 59 in termini di mera riassunzione: il problema della localizzazione della causa in seguito alla declinatoria di giurisdizione. Come evidenziato nel capitolo precedente708, una corrente minoritaria della dottrina (in particolare, il compianto E. F. Ricci709) aveva proposto una peculiare teoria secondo cui il processo (in seguito a declinatoria di giurisdizione) non avrebbe più potuto considerarsi “pendente”: non tanto per la mancanza di un organo giudiziario in grado di compiere da subito attività processuale, quanto per l’assenza di un preciso giudice presso il quale la causa avrebbe potuto essere immediatamente localizzata (anche solo in stato di quiescenza ed in attesa di un atto d’impulso processuale). In nessun caso, infatti, la declinatoria di giurisdizione avrebbe potuto determinare quale giudice (interno all’ordine giurisdizionale indicato nella declinatoria stessa) avrebbe dovuto considerarsi investito della “competenza” a giudicare sulla controversia, ed un fenomeno di “litispendenza semplice” (aspetto eccezionalissimo nell’ordinamento processuale italiano, proprio della disciplina delle impugnazioni710) sarebbe apparso del tutto ingiustificato (poiché privo di supporto sia esegetico che sistematico). Al riguardo, si può brevemente evidenziare come (da un lato) l’art. 59 potrebbe costituire oggi l’appoggio normativo (ricercato senza successo dall’insigne

707 Nei medesimi termini si esprime F. CIPRIANI, Riparto di giurisdizione, cit., pag. 738. Va peraltro osservato come, in uno dei suoi scritti recenti (M. P. GASPERINI, Rapporti tra giurisdizioni, cit., pag. 412), l’Autrice riconosca che “di certo non si può negare che la translatio possa in astratto operare ancorché non accompagnata da un vincolo per il giudice davanti al quale il processo deve proseguire...”. All’erronea convinzione secondo cui il vincolo per il giudice ad quem costituisca presupposto fondamentale (e conseguenza indefettibile) della translatio iudicii era giunta anche la giurisprudenza amministrativa antecedente al 1940: essa affermava (cfr. supra, Cap. I par. 4.1.) che per ipotizzare una “continuazione” del “medesimo” processo sarebbe stata necessaria una pronuncia proveniente da un organo superiore che vincolasse, per la sua autorità, il giudice del rinvio (cfr. nota 112). Tale affermazione era peraltro corretta alla luce del regime previsto dal Codice di rito del 1865, ove al difetto di giurisdizione/competenza seguiva la chiusura in rito del processo, ma non è più giustificabile alla luce dell’introduzione del meccanismo della translatio.
708 Cfr. supra, Cap. III par. 5.1. 709 E. F. RICCI, Declinatoria di giurisdizione, cit., pag. 693 ss. 710 Cfr. supra, Cap. II par. 4.1. (nonché A. CARACCIOLO LA GROTTERIA, op. cit., pag. 17; A. SALETTI, La riassunzione, cit., pag. 73 ss.).


giurista in seguito alla rivoluzione pretoria del 2007) per poter ritenere che il legislatore abbia voluto introdurre nell’ordinamento una nuova ipotesi di litispendenza semplice711; d’altro canto, occorre ribadire per l’ennesima volta come la riassunzione del processo (così come disciplinata nel codice di rito) presupponga sempre una situazione di litispendenza qualificata: pertanto, il giudice a quo (al fine di poter qualificare il successivo atto di parte quale “autentica” riassunzione, e non come una prosecuzione del processo sui generis) dovrebbe indicare nella declinatoria anche il giudice munito di competenza “interna” alla giurisdizione del rinvio712.
A ciò si obietta che da un’eventuale indicazione in tal senso da parte del giudice rimettente non potrebbe scaturire alcun vincolo per il giudice ad quem713 (salvo

711 In questi termini M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 148. 712 Favorevole a tale soluzione (sebbene con finalità meramente pratiche) risulta G. GIOIA, La trasmigrazione della domanda giudiziale, cit., pag. 424: l’Autrice osserva come “uno sforzo interpretativo da parte del primo giudice adito (tenuto a conoscere tutte le leggi dello Stato) volto ad individuare precisamente il foro competente permetterebbe di evitare una seconda decisione denegatoria in rito ed una seconda riassunzione; resta fermo che il giudice non vi è tenuto... tale indicazione, naturalmente, non avrebbe forza vincolante perché la competenza è questione che investe esclusivamente i singoli ordini giurisdizionali... nulla impedisce che successivamente davanti al secondo giudice la contoparte sollevi eccezione di difetto di competenza, ma che questa sia fondata è un’eventualità piuttosto remota...”. Parere contrario è manifestato invece da M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione, cit., pag. 151: l’Autrice evidenzia che “l’ambito oggettivo del vincolo scaturente dalla decisione... si riconnette necessariamente all’oggetto della decisione che di volta in volta si è chiamati ad assumere. Quando si è chiamati a pronunciarsi sulla giurisdizione..., oggetto di cognizione e della decisione è unicamente la questione di giurisdizione in concreto sollevata... e non può esservi in tale sede decisione anche sulla competenza, giacché... ne mancherebbe in ogni caso il presupposto fondamentale, vale a dire la sussistenza di una questione ‘attuale’: infatti... la questione relativa alla competenza del giudice del rinvio è del tutto ipotetica, in quanto suscettibile di porsi, eventualmente, solo nel processo pendente innanzi al predetto giudice per essere decisa con le modalità previste dalla legge che quel processo regola”. Va peraltro osservato come la soluzione sia stata accolta in alcune (rare) pronunce: cfr. ad esempio Cass., Sez. Un., 9 luglio 2009, n. 16100 (ove, richiamando espressamente l’art. 59 l. n. 69/2009, il Giudice di Legittimità ha rimesso le parti innanzi ad uno specifico Tribunale amministrativo in seguito a declinatoria proveniente dal giudice civile, ordinando inoltre la trasmissione del fascicolo d’ufficio ex. art. 126 disp. att. c.p.c.). Cfr. inoltre nota 206 nonché supra, Cap. II par. 4.1. 713 P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione, cit., pag. 114; B. R. POLITO – M. SICA, op. cit., pag. 222 s. Gli Autori, pur evidenziando l’utilità pratica di una tale indicazione per le parti, ritengono che in assenza di un vincolo per il giudice della riassunzione essa possa generare confusioni ed incertezze riguardo alla disciplina applicabile; nel concludere la loro dissertazione, tuttavia, essi sembrano ammettere un vincolo (alla competenza indicata) per il giudice del rinvio nel caso di pronunce provenienti dalla Cassazione (ai sensi dell’art. 382 primo comma c.p.c.). Cfr. inoltre M. DI MARZIO, op. cit., pag. 122 s.: l’Autore, nel commentare il primo comma dell’art. 59, evidenzia da un lato come “la formula adottata relativamente all’indicazione del giudice nazionale appare sostanzialmente analoga a quella prevista in tema di pronuncia dichiarativa dell’incompetenza del giudice ordinario ex. art. 44 c.p.c. ... il ché indurrebbe a ritenere che debba essere indicato anche l’ufficio giudiziario competente all’interno della giurisdizione del rinvio...”; ma poco dopo evidenzia gli inconvenienti derivanti da tale soluzione: “si chiederebbe al giudice della declinatoria di statuire su regole di competenza che gli


che nelle ipotesi di declinatorie provenienti dalla Cassazione a favore della giurisdizione ordinaria o tributaria714). A tale obiezione si può replicare con quanto affermato poc’anzi: il vincolo per il giudice ad quem non costituisce presupposto imprescindibile né tantomeno effetto indefettibile della translatio iudicii.